Rimini Inmagazine
editore
Edizioni Inmagazine
anno
2012
luogo
Italia
progettisti intervistati
Elisa Burnazzi e Davide Feltrin
pagina
45-46
numero
5 – novembre 2012
autrice
Lucia Lombardi
foto
Carlo Baroni
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Magazine
Costruire a quattro Mani
Giovani e talentuosi, Elisa Burnazzi e Davide Feltrin fanno coppia nella vita e nel lavoro. Unendo le forze e le idee per un’architettura in grado di esprimere valori collettivi.
La passione per la progettazione unisce la vita pubblica e privata dei due progettisti Elisa Burnazzi e Davide Feltrin, che stanno mietendo premi de rang. I loro lavori appaiono su libri e riviste prestigiosi. Non ultima la loro partecipazione alla Biennale di Architettura di Venezia.
Quando si è costituito lo studio e come?
“Ci siamo conosciuti alla Facoltà di Architettura di Venezia, laureandoci insieme nel 2001. Dopo aver collaborato separatamente con importanti studi di architettura, Davide presso lo studio di Karl Spitaler in val Venosta, io nello studio di Paola Benzi a Rimini e nello studio Land di Milano di Andreas Kipar, nel 2004 abbiamo fondato lo studio Burnazzi Feltrin Architetti, dando vita ad una collaborazione resa solida dal confronto libero e continuo tra le nostre idee, competenze ed attitudini”.
Com’è essere una coppia nella vita e sul lavoro?
“L’architettura è una cosa che ci unisce tanto ed essendo una passione totalizzante ci fa superare anche i momenti più difficili. Per non essere risucchiati dal lavoro, però, nei momenti di relax cerchiamo di tenerlo fuori dalla porta. E per rimanere in equilibrio rispettiamo le nostre individualità”.
Quali sono i vostri riferimenti architettonici?
“Ci piace quando in un progetto rintracciamo una poetica specifica, un fine ultimo da raggiungere che non sia solo prestazionale, funzionale, materiale, ma un qualcosa in più, che non è solo bellezza. Seguiamo con molta passione l’architettura del giapponese Kengo Kuma, troviamo in lui valori molto alti”.
Quali materiali si confanno di più al vostro estro creativo?
“Il legno è uno di quelli più utilizzati. Non che sia più idoneo di altri. L’idea dell’equilibrio che ricerchiamo si ricollega alla poetica giapponese, ci piace quando coesistono elementi contrapposti. Ci piace che uno spazio restituisca contrasti tra elementi materiali e immateriali, tra luci e ombre”.
Vi state destreggiando su varie tipologie di commissioni e in differenti ambiti geografici: dalla bioedilizia ai restauri, all’interior design, passando per complessi edilizi più articolati…
“Siamo molto curiosi, ci piace cambiare, metterci alla prova in campi non ancora battuti. Chi si rivolge a noi conosce il nostro linguaggio, la nostra modalità espressiva. Col committente ci si confronta, ponendo reciproco impegno intellettuale. è bello quando ognuno dà del suo senza risparmiarsi, mettendo a disposizione la propria sensibilità”.
Come descriveresti l’esperienza della Biennale di Architettura?
“È stata molto significativa. Quando ero studente sognavo di poter esporre lì un mio lavoro. Abbiamo conosciuto gli altri giovani studi under 40 selezionati con cui abbiamo scambiato idee, opinioni… Sono momenti di grande crescita”.
Cosa significa fare architettura oggi?
“Fare qualcosa che nasce dal connubio di forze e interessi della società intera, manifestazione di valori collettivi. Un ‘Common ground’, come nell’intento del direttore Chipperfield della Biennale a cui abbiamo partecipato. Bisogna pensare ad un’architettura per la comunità con una visione più etica e di confronto attraverso i concorsi. Sarebbe utile anche valorizzare giovani talenti che hanno nuove metodologie di approccio alla professione”.
Avete un progetto nel cassetto?
“Ci piacerebbe veder partire il cantiere del Centro di Aggregazione per giovani e anziani di Poggio Picenze, comune aquilano colpito da terremoto nel 2009, progetto promosso dall’associazione Nazionale Cantanti, associazione Amici del cuore e dal Quotidiano editoriale Spa. Ci coinvolge molto dal punto di vista emotivo; abbiamo lavorato a rimborso spese, cercando di ridare speranza ai cittadini nella natura e nell’uomo tramite il simbolico gesto, da parte dei fruitori del centro, di mantenimento della vegetazione della copertura e delle pareti perimetrali. Speriamo serva per ridare fiducia nel futuro!”.